Popoli Terme sorge sul fiume Pescara, a 254 m slm, alle pendici del monte Morrone. Nulla sappiamo con certezza sui primi insediamenti umani avutisi all'imbocco della Conca Peligna, anche se varie, e più o meno qualificate ipotesi sono state sostenute al riguardo da diversi Autori di Storia Patria. Certamente il "passo di Tremonti" è stato presidiato fin dall'antichità repubblicana romana e ci piace accettare questa ipotesi come quella, forse, più attendibile riguardo ai primi insediamenti umani sul nostro territorio. Col passare dei secoli la nostra zona acquistò sempre più una grossa valenza strategica, tanto da portare alla definizione, quasi per antonomasia, di Popoli Terme come la "Chiave dei Tre abruzzi" ( posta in posizione centrale rispetto alle valli della Pescara, dell'Aterno e del Sagittario e alle gole del Gizio) perchè il possessore delle "Gole di Tremonti" poteva, a suo piacimento o secondo la sua forza, bloccare o sbloccare le uniche due arterie viarie (che oggi chiamiamo SS 5 e SS 17) che mettevano in comunicazione l'Adriatico col Tirreno attraverso le tre provincie abruzzesi. La più antica testimonianza "visiva" del passato che abbiamo è, senz'altro, la grossa Torre sita sul lato nord del Castello: non doveva avere un rilevante interesse militare (come l'avevano quasi tutti i castelli), ma di lassù era la sentinella di tutta la Conca Peligna e, verso il mille, ai suoi piedi, cominciarono a sorgere i primi agglomerati urbani di quello che diventerà l'odierno centro storico, sulle sponde dei copiosissimi corsi fluviali. La presenza dei corsi d'acqua, navigabili fino all'Adriatico, e la felice posizione strategica ne fecero un centro di passaggio obbligato per tutti i generi di cose costrette a muoversi e ne fecero il punto di riferimento soprattutto per il commercio tanto che, fin dal medioevo, in Popoli Terme si celebravano due mercati settimanali e quattro fiere annuali, che rappresentavano la più importante voce di entrata nei bilanci comunali. Questo continuo flusso e riflusso di uomini, bestie e cose ha fatto sviluppare e crescere demograficamente la nostra Città, tanto che, all'atto dell'Unità d'Italia, contava già 6.000 anime (per inciso, ricordiamo che Sulmona aveva solo qualche centinaio di abitanti in più e Pescara, allora Castellamare era un minuscolo borgo di pescatori). Strutturalmente Popoli Terme era un agglomerato di abitazioni che non andava oltre le Tre Porte: San Rocco (per Chieti), Santa Maria D'Attoia (per l'Aquila) e Sant' Antoni(per Napoli). Queste tre Porte erano situate la prima presso l'omonima Chiesa, la seconda nei pressi dell'odierno piazzale Eni e la terza nei pressi della Chiesa di S. Domenico. All'esterno di esse vi erano le campagne, le ricche campagne di Popoli Terme e ben tre molini che sfruttavano la copiosità delle acque e che fornivano anche quasi tutti i paesi limitrofi. Negli anni che vanno dal 1864 al 1871 le tre Porte furono abbattute, così come fu abbattuto il Torrione dell'Aia pubblica (di origine medioevale e che era in diretto contatto visivo con la Torre del Castello) e la miopia storico-artistica di quegli Amministratori sta tutta nella motivazione adottata: "per dare maggiore ventilazione all'abitato"! A Popoli Terme, patria del vento!!! Alla fine dell'ottocento Popoli Terme aveva stabilmente un Concerto Bandistico, unico Paese d'Abruzzo, produceva (e vendeva) l'energia elettrica; aveva un acquedotto che portava acqua pura e potabile all'interno dell'abitato; uno Stabilinento Termale di rilevantissimo interesse terapeutico; era sede di Colleggio Elettorale, che abbracciava ben 15 Comuni; sede di Ufficio di Registro e Bollo; sede di Pretura Mandamentale (con relativo carcere), con Regio Giudicato; sede di Stazione Telegrafica e Ferroviaria: tutti questi servizi, uniti alla facilità delle comunicazioni e dei commerci, hanno portato Popoli Terme ad una preminente posizione socio-economica che le consentì, agli inizi del novecento, di poter istituire anche una Scuola Tecnica Superiore, finanziata dal Comune e da lasciti privati.
Chiesa di San Francesco. Risale al 1334, restaurata nella prima metà del ‘400, presenta una grande facciata a blocchi di pietra
preceduta da un’alta scalinata su cui dominano due leoni romanici. La chiesa ha motivi architettonici e scultorei di due epoche diverse:
la zona inferiore risale al 1480, mentre la parte superiore è stata restaurata negli anni 1688-89.
Il portale romanico è sormontato da un rosone rinascimentale con i raggi della ruota uno diverso dall’altro e contornato da quattro lobi
con i simboli degli Evangelisti, mentre al centro sono scolpiti gli stemmi gentilizi dei Cantelmo e dei Carafa.
La zona superiore, del periodo barocco, è alleggerita da una grande finestra centrale rettangolare.
Anche il campanile si riferisce ad epoche diverse: la parte inferiore è del 1480 e la data è leggibile sotto lo stemma dei Cantelmo; la parte
centrale fu aggiunta nel 1688 e la parte terminale fu completata nel 1714. L’interno ha subito vari restauri a seguito del terremoto del 1915.
Da notare l’affresco quattrocentesco raffigurante la Pietà e il paliotto in mattonelle in ceramica di Castelli nella cappella dedicata a S. Francesco.
Torre Civica. Costruita nel XVIII secolo con l’orologio di carattere settecentesco,
ha una balconata ed un terminale a forma di cuspide ed è sormontata da un campanile.
Chiesa della Santissima Trinità. Risalente al ‘700, ha una lunga scalinata
che precede la facciata tutta in pietra. Sulla sinistra si erge il campanile del 1648. Nell’interno
un’interessante pala d’altare del 1557 raffigurante la Santissima Trinità.
Chiesa di San Lorenzo e San Biagio. Presenta una semplice facciata con tre portali d’ingresso risalenti al 1562.
Il campanile della stessa epoca fu completato nella parte superiore nel 1737.
Nell’interno sono conservate opere rinascimentali come l’acquasantiera del 1554 e il monumento di
Bartolomeo Corfinio del 1590.
Palazzo Cantelmo. Costruito nel XV secolo, si trova la centro dell’abitato ed è riconoscibile da un portale
a bugne rinascimentali. Presenta all’interno un cortile a forma di trapezio a scala scoperta.
Castello. Fu costruito nel 1015 dal vescovo Tidolfo. Nel 1269 passò ai Duchi Cantelmo che ebbero il feudo di Popoli
fino al XVIII secolo. La struttura è posta su un’altura in mezzo ad una pineta ed è raggiungibile tramite una strada a scalinata che parte
dalla piazza principale del paese. La pianta è all’incirca triangolare, con la muratura di recinzione, la torre quadrata e il torrione
rotondo. L’intera struttura è interessante perché documenta l’utilizzo in epoca rinascimentale di una fortificazione medioevale.
Taverna Ducale (o Vecchia), costruita nel Trecento e considerata uno dei più interessanti edifici civili medievali della regione, dalla splendida facciata ornata di stemmi e bassorilievi. Notevole è il cortile con elementi rinascimentali del quattrocentesco palazzo ducale Fu fatta costruire da G. Cantelmo come magazzino per raccogliere e vendere le decime di tutti i prodotti agricoli spettanti al feudatario. In seguito, fu adibita ad osteria ed albergo dato che Popoli era un punto di stazionamento delle diligenze. Accanto quella vecchia ne fu costruita una nuova detta Taverna dell’Università o Nuova. L’edificio della Taverna Vecchi è a due piani, al piano terra è collocata la bottega propriamente detta.
Corradino D'Ascanio Il pioniere dell'elicottero Nasce a Popoli il 1° febbraio del 1891. A 17 anni costituisce e collauda personalmente il primo aliante, con esiti non troppo brillanti, si dice. Si laurea in ingegneria al politecnico di Torino e subito dopo, nel 1914, si arruola volontario nel battaglione aviatori con l'incarico di sovrintendere al collaudo dei motori aerei. Sono queste prime esperienze giovanili, sostenute da una enorme volontà e da una ancor maggiore passione per tutto ciò che vola, a fare di Corradino D'Ascanio il pioniere italiano dell'eleicottero. Come accade a tutti i pionieri, però, la sua preziosa opera di ricerca ingegneristica fu capita con enorme ritardo. L'esperienza negli Stati Uniti d'America, nel 1918, dove era stato inviato dalla ditta torinese Pomilio, lo entusiasma e gli regala nuovi stimoli per proseguire nel lavoro che lo appassiona. Lavora ancora con l'esercito sui motori dei caccia per poi occuparsi esclusivamente di elicotteri. Ne progetta uno: a Popoli lo costruisce e lo prova. Qualcosa però ancora non va. Nel 1927 su commissione del Ministero dell'Aeronautica Corradino D'Ascanio progetta il suo secondo elicottero, stavolta con motore FIAT. Il progetto viene finalmente approvato nel 1928 e dopo due anni il prototipo, affidato al collaudatore Nello Marinelli, che risulta così essere il primo pilota di elicotteri dell'aviazione italiana, vola. Gli esperimenti però non trovano grossi estimatori e così, per la cecità di qualcuno, il prototipo DAT 3 finisce dimenticato in qualche hangar. D'Ascanio viene assunto dalla Piaggio come specialista di eliche. Progetta un nuovo elicottero, un biposto, il PD 2 (siamo nel 1939), ma la guerra cancella tutti gli studi. Nel dopoguerra D'Ascanio crea, sempre per la Piaggio, la Vespa. Nel 1948 torna all'elicottero: il PD 3 vola nel 1952 ma intanto D'Ascanio ha ricevuto dal Congresso mondiale di Filadelfia quei riconoscimenti che l'Italia gli ha negato. Negli anni Cinquanta passa alle dipendenze dell'Augusta, prima società privata a fabbricare elicotteri in Italia. Insegna alla normale di Pisa dove si spegne il 6 agosto del 1981. Incredibilmente il nome del geniale e tenace Corradino D'Ascanio resterà legato alla Vespa e non alla sua passione per il volo.
Da un articolo del Dr. Giovanni D'Agostino su Concapeligna.it